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Publié par Alessandro Zabini






Oltre un muro coperto di alberi, di cespugli e di ammassi di piante parassite, s’innalzavano i ruderi di una città morta, abitata soltanto dagli spettri del più remoto passato.  Erano la testimonianza frammentata e dispersa che i ciuffi di erbe selvatiche del caso e dell’imprevedibile avevano spaccato poco a poco le lastre della continuità e della totalità con le crepe della catastrofe inevitabile.  Erano le rovine della memoria di un tempo spezzato, sommerse e cancellate dalla foresta dell’oblio.

Tremiti smaniosi scuotevano il corpo, estraneo come una prigione.  La respirazione era affannosa e trattenuta.  La fronte era livida, gli occhi molto velati.  Intorno, polvere, erbe, nudi blocchi silenti, sgretolate fontane senza voce, mostri in pietra, ruderi calmi come la foresta, engimatici e muti, consumati dal vento e dalla pioggia, calcificati dal sole, ricoperti poco a poco dalle piante e dalla terra, relitti di cose e di sogni perduti, ombra del fato sulla vita, soglia spettrale fra vita e morte. Soltanto aria e luce mutavano, e ombra.











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