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Publié par Alessandro Zabini



Nelle vene del testo:
fonti e tecniche di In the American Grain di William Carlos Williams

 

 

 

L’immagine dell’antichità sovrapposta a quella della Francia e l’immagine assolutamente moderna dell’America si trovano, all’occasione, immediatamente l’una accanto all’altra.

Walter Benjamin, I «passages» di Parigi

 

All writing is in fact cut-ups. A collage of words read heard overheard. What else?

William S. Burroughs, The Third Mind

 

 

        

         Nell’attraversare di notte il Quartiere Latino per recarsi a convegno con una bella amante, il cui nome è rimasto ignoto, il giovane Alexandre Dumas, «touriste noctambulant» privo di bastone, di pugnale e di pistole, passava sempre dinanzi a una «porte voutée, à barreaux de fer», chiusa con una catena, e attraverso le sbarre della porta vedeva una foresta inestricabile e impenetrabile come quelle dell’India o dell’America: un parco più che isolato, misterioso, suscitatore di un incanto che cedeva a una sorta di terrore allorché, fra la vegetazione lussureggiante, al crepuscolo, oppure alla pallida luce argentea della luna, si scorgevano le rovine di una casa diroccata e un immenso pozzo spalancato fra le alte erbe incolte. Allora, nel silenzio, pareva di udire strani rumori simili a quelli che provenivano a mezzanotte dai cimiteri, dalle torri in rovina e dai palazzi disabitati. Per scatenare la fantasia di un lettore impregnato di Goethe e di Hoffmann sarebbe bastato quel «fouillis étrange, sombre, indicible, de vieux arbres, de hautes herbes, de fougères, d’orties et de lierres rampants», anche se non si fossero raccontate leggende «de vols, d’assassinats, de rapts et de suicides qui planaient au-dessus de ce parc désolé comme une troupe d’oiseaux de nuit». Un carbonaio, il quale viveva in una sorta di antro la cui soglia era vigilata da un cane nero, aprì la porta chiusa da tanto tempo e guidò Dumas attraverso le piante che «s’enroulaient, s’enlacaient, se tordaient, s’etreignaient étroitement sous le regard de la lune, dans ce grand hamac de verdure que formait la foret»; poi lo condusse intorno a un pozzo profondissimo che scendeva nelle catacombe, dove qualcuno era scomparso; e infine allo «escalier à perron de trois ou quatre marches» della casa, dove tutto era «défoncé, lézardé, en ruine», come nel romanzo di Ann Radcliffe, The Romance of the Forest.

 

         Ruderi nella foresta, in cui si apriva un accesso al mondo infero nel cuore di Parigi, capitale del XIX secolo (1): era «La Foret Vierge de la Rue d’Enfer», interpretabile come ideogramma della condizione di fronte alla quale si trovano i poeti moderni, con i problemi che pone e con le soluzioni che suggerisce: in particolare, il metodo del montaggio, ricostruzione modernista della storia e della letteratura. Infatti, le forme opposte e complementari che nell’epoca della divisione del lavoro e della produzione in serie costituiscono i due poli del campo di tensione in cui si produce la letteratura, si potrebbero trovare giustapposte proprio nell’immagine della Foret Vierge de la Rue d’Enfer, che potrebbe raffigurare la compresenza, nel cuore di Parigi, emblema della modernità, dei ruderi della tradizione letteraria europea e della foresta della tradizione letteraria nordamericana: Edgar Allan Poe e James Fenimore Cooper, poesia e feuilleton, flaneur e detective, Charles Baudelaire e Alexandre Dumas, avanguardia e cheap literature.

 

 

[…]

 















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