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Publié par Tiziano Agnelli e Alessandro Zabini

 

Come è ormai risaputo, l’epiteto di cui al titolo, è quello che Emilio Salgari affibbiò a uno dei suoi tanti imitatori/epigoni, in una lettera privata del gennaio 1908 indirizzata a Francesco Cazzamini-Mussi, vero nome di Francesco Margaritis, (F. Pozzo, Quaderni Salgariani, I, Viglongo 1998, p. 120). 

Cotanto appellativo è riferito niente di meno che ad Antonio Garibaldo Quattrini (1880-1936), e non Garibaldi come si è creduto per anni, anche presso gli studiosi salgariani più accreditati. Romano di nascita, di Morlupo per la precisione, il Quattrini aveva un background di esperienze marinaresche che le scarse note biografiche fanno risalire a quando aveva quattordici anni. In ogni modo qualche annetto nella Regia marina se lo farà, imbarcato sulla R.N. “Colombo” che dal 1894 al 1896 effettuerà il Viaggio di Circumnavigazione del Duca degli Abruzzi

 

A proposito di “pirati della penna”

 

Una volta tornato alla vita civile, con velleità di scrittore, forte anche degli appunti presi durante le lunghe ore «tra una guardia e una comandata, tra una veglia e un uragano, in tre anni di viaggio intorno al mondo» (Pozzo, op. cit., p. 114), per dirla con le sue parole, nel 1903 presso l’editore Celli di Milano dà alle stampe un romanzo dal titolo La tigre del Bengala, ispirandosi chiaramente al più famoso I Misteri della Jungla Nera, pubblicato da Salgari presso Donath nel 1895,  e mutuandone perfino alcuni personaggi, con una leggera variazione nel nome. Abbiamo quindi Trimal Nayk e Suyodhama, per arrivare invece a chi mantiene il nome invariato, ovvero Kammamuri. Da quel momento in poi, la fama di Quattrini come subdolo imitatore e plagiario del “Maestro” va sempre più consolidandosi. Addirittura lo si taccia di sottrarre i titoli a Salgari, per cui quando in Per Terra e per Mare: Giornale di avventure e di viaggi, curato dallo stesso Salgari per Donath, si annuncia a breve la pubblicazione di una nuova opera, se ne omette il titolo proprio per evitare che “qualcuno” (ma il riferimento è chiaro) se ne impossessi e magari pubblichi quello che oggi si chiamerebbe un instant-book.

 

A proposito di “pirati della penna”

 

In questa sede non interessa valutare chi dei due sia più dotato, chi abbia il miglior talento visionario o chi abbia scritto dei capolavori nel genere avventuroso, anche perché sarebbe un duello impari! Ciò che mi ha dato lo sprone per redigere questo pezzullo è aver riletto a distanza di anni l’interessante articolo opera dello studioso Felice Pozzo, pubblicato da Viglongo nel già citato Quaderni Salgariani con il significativo titolo di “Sulle orme di Salgari: le peripezie di Claudio Trinchettina, alias Tony Penny al secolo Antonio Quattrini Garibaldi” (sic). E’ un pezzo alquanto interessante e intrigante, dove si traccia un breve excursus dei torti e dei debiti che appunto il Quattrini avrebbe fatto a, e contratto con, Emilio Salgari. Il mio intento è di spezzare una lancia a favore di Quattrini, per dare a Cesare quel che è di Cesare, in quanto alcune delle osservazioni di Pozzo vanno riviste nella giusta prospettiva.

 

A proposito di “pirati della penna”

 

Salgari fonda la sua rivista di viaggi e avventure: Per Terra e per Mare, edita da Donath di Genova, nel febbraio del 1904 (il settimanale purtroppo non reca alcun tipo di data né tantomeno esplicita il giorno di uscita). Quattrini dal canto suo, per l’editore Gussoni di Milano, dirige una rivista similare il cui primo numero esce il 7 aprile dello stesso anno. Sul n. 10 di questo giornale si pubblica anonimo il racconto La vendetta di una scimmia, che, cito verbatim le parole di Pozzo: «[…] copia il salgariano “L’orang-utan di Celebes” (con pseudonimo Capitano W. Churchill), apparso sulla rivista di Donath al N. 21 dello stesso anno.» ( Pozzo, op. cit., p. 116). Il racconto di Salgari, che peraltro si autocita, in quanto l’anno prima aveva scritto “Il fanciullo rapito”, deve la sua genesi soltanto in parte, come si vedrà, a un testo apparso anonimo sul Giornale Illustrato dei Viaggi di Sonzogno nel n. 15 del 12 dicembre 1878 con il titolo appunto di “Vendetta di una scimmia”. Per rintracciare la fonte di tale racconto occorre spulciare l’edizione francese del medesimo giornale, di cui quello italiano era traduzione.

Su queste notazioni di Pozzo verte il succo della mia ricerca. Dando per assodato come periodo d’uscita del primo numero di Per Terra e per Mare il febbraio del 1904, e facendo i conti della serva, se partiamo dalla prima settimana di quel mese, si evince che il numero 21 dovrebbe essere uscito nel periodo che va dal 20 al 26 giugno, quindi almeno un paio di settimane dopo il n. 10 di Viaggi e Avventure di Terra e di Mare che uscì il 9 giugno. Inoltre il testo presentato da Quattrini non è farina del suo sacco, né tantomeno di altri autori nostrani, ma è semplicemente una mera riproposizione di gran parte del racconto pubblicato sul Giornale Illustrato dei Viaggi di Sonzogno, del quale peraltro utilizza la medesima traduzione.

Ne consegue che almeno per una volta il Quattrini non ha scopiazzato né tantomeno è in debito con il “Maestro”. 

 

Inizio della parte di "Voyages, Aventures et Combats”, di Louis Garneray, pubblicata da Antonio Quattrini in “Viaggi e Avventure di Terra e di Mare”: traduzione con testo originale a fronte.

Inizio della parte di "Voyages, Aventures et Combats”, di Louis Garneray, pubblicata da Antonio Quattrini in “Viaggi e Avventure di Terra e di Mare”: traduzione con testo originale a fronte.

 

Mi preme inoltre precisare, proprio per amore di quel rigore filologico, nonché ricerca della veridicità, che dovrebbe sempre improntare questo tipo di lavori, che quando Pozzo scrive, riferendosi ai racconti presentati sul primo numero del giornale di Quattrini: «Apre con la novella “La Vendetta del Rajak (sic) a firma Elisa Quattrini; segue la prima puntata di Le Tigri dell’Oceano Indiano, firmata con lo pseudonimo “Garneray”, all’insegna salgariana, dunque» (Pozzo, op. cit., p. 114), sottintendendo che trattasi di due pseudonimi di Quattrini, commette un errore. Mentre nel caso del primo, non avendo notizia di eventuali sorelle, potrebbe benissimo essere un suo nom de plume, anche se mi chiedo perché coniugarlo al femminile, nel secondo caso ancora una volta lui non c’entra, perché “Garneray” non è uno pseudonimo. Infatti è il nome di un autore francese, realmente vissuto, Ambroise Louis Garneray (1783-1857), corsaro, scrittore e pittore della marina, che servì agli ordini del celeberrimo Surcouf, scorrazzando sui sette mari. Il testo che qui viene presentato non è altro che un estratto dal suo libro di memorie: Voyages de Louis Garneray, peintre de marines: Aventures et Combats, illustrés par l’auteur, Panthéon Populaire illustré, Paris, Barba, 1851, pp. 66-76.

 

Conclusione della parte di “Voyages, Aventures et Combats”, di Louis Garneray, pubblicata da Antonio Quattrini in “Viaggi e Avventure di Terra e di Mare”: traduzione con testo originale a fronte.

Conclusione della parte di “Voyages, Aventures et Combats”, di Louis Garneray, pubblicata da Antonio Quattrini in “Viaggi e Avventure di Terra e di Mare”: traduzione con testo originale a fronte.

 

Quindi anche in questo caso il Quattrini si è limitato a tradurre, o a far tradurre, un testo già esistente, e non ha certo mutuato le situazioni o lo stile da quello di Salgari.

Ultima notazione, ma non meno importante, l’affermazione di Pozzo: «Il Quattrini, facilitato dall’avere un fratello editore, Attilio - con il quale si metterà in affari nel 1905…» (Pozzo, op. cit., p. 112), non rispecchia la realtà dei fatti. Attilio era nato nel 1883, quindi nel 1905 aveva solo 22 anni, difficile che fosse già un editore. Infatti in un capitolo dal titolo “Attilio Quattrini: dalla ‘Voce’ a Lord Sister”, contenuto in un famoso saggio di Franco Cristofori e Alberto Menarini (Eroi del racconto popolare prima del fumetto, Bologna, Edison, 1986, I, p. 210), si legge testualmente: «Attilio Quattrini nacque a Morlupo, in provincia di Roma, il 2 dicembre 1883. A ventidue anni, nel 1905, fondò a Como la Casa Editrice Roma, dedicandosi prevalentemente alla narrativa avventurosa, a ciò indotto, probabilmente, dal fratello maggiore Antonio, suo socio, che aveva navigato dai 14 ai 23 anni e scriveva romanzi d’ispirazione salgariana». 

Tiziano Agnelli

 

A proposito di “pirati della penna”

 

NOTA BIBLIOGRAFICA E TESTUALE

 

Bénédict-Henry Révoil, “La Vengeance du Singe”.

Pubblicazione in periodico: “Aventures de Terre et de Mer: La Vengeance du Singe”, Journal des Voyages et des Aventures de Terre et de Mer, n. 42, Dimanche 28 Avril 1878, pp. 253-255, illustrazione p. 256.

Ristampa in volume: Bénédict H. Révoil, Aventures Extraordinaires sur Terre et sur Mer, Limoges, Eugène Ardant et Cio, 1879, pp. 5-18.

Traduzione italiana: “Avventure di Terra e di Mare: Vendetta d’una Scimmia”, Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di Terra e di Mare, Anno I, n. 15, Milano, Sonzogno, 12 Dicembre 1878, pp. 114-116, illustrazione in copertina (la stessa del Journal), autore e traduttore non indicati.

Ristampa parziale della traduzione italiana: “La vendetta di una scimmia (Dal vero)”, Viaggi e avventure di terra e di mare, Anno I, n. 10, Milano, Gussoni, 9 Giugno 1904, pp. 80-82, autore e traduttore non indicati.

 Il testo originale dell’edizione in volume è identico a quello che si legge nel Journal des Voyages.

La traduzione nel Giornale Illustrato è integrale, a parte l’omissione di questa frase: «Mais le plus souvent elle se retire en masse serrée quand la détonation s’est fait entendre» (Journal des Voyages, p. 254), la quale avrebbe dovuto essere inserita, come nell’originale, fra questa frase: «Non è prudente il far fuoco su quella massa, giacché soventi volte essa si precipita sul suo nemico», e quest’altra: «Le scimmie che sono ferite solo leggermente, vengono aiutate nella fuga dalle loro compagne: quelle che lo sono più gravemente s’attaccano con forza al primo ramo che si trova alla loro portata, e le si trovano spesso morte in tale posizione» (Giornale Illustrato, p. 114). Evidentemente la versione italiana vuole descrivere le scimmie come aggressive e pericolose sempre e comunque.

In Viaggi e avventure, con l’aggiunta al titolo di “(Dal vero)”, il testo è ristampato integralmente, tranne il preambolo in cui sono descritte le scimmie del Borneo.

Riassunto.

Borneo. Preambolo sulle scimmie dell’isola Borneo, in cui si accenna alla credenza indigena secondo cui le scimmie sarebbero uomini regrediti all’animalità per punizione divina. 1860: Van der Brock vive con la famiglia nella piantagione di un anziano parente, Vanderheim. La servitù include due scimmie, catturate in giovane età, allevate, addestrate e costrette a svolgere mansioni domestiche: il bruttissimo Gombo, che segue Vanderheim nelle passeggiate, ombreggiandolo con il parasole, e Dandolo. Van der Brock teme che le due scimmie possano essere pericolose, mentre sua figlia Eva, quattordicenne, non ne ha alcuna paura. Gombo si affeziona tanto a Eva, che finisce per ubbidire soltanto a lei. Un giorno Gombo rompe un vaso cinese, è bastonato dall’infuriato van der Brock e tenta di reagire, ma è prontamente aggredto dai servi del padrone, e fugge. Eva ne è molto dspiaciuta. Lo scimmione resta nei pressi della piantagione. La ragazzina si addentra nella foresta per cercarlo, lo trova e cerca di ricondurlo alla casa. Gombo rifiuta di ritornare, rapisce Eva e la porta nel proprio rifugio nella foresta. Dapprima le ricerche sono inutili, poi un servo trova il rifugio dell’orango e avverte Van der Brock, che vi si reca, accompagnato dal figlio e da alcuni servi, tutti armati. Nessuno osa sparare perché Gombo tiene Eva fra le braccia. Sorpreso alle spalle e percosso alla testa da un servo, il quadrumane lascia cadere la fanciulla. Sebbene traumatizzata, Eva si riprende dopo qualche tempo. Gombo è scuoiato e la sua pelle è esposta al museo di storia naturale di Amsterdam, mentre l’altra scimmia è spedita in Europa a bordo di un mercantile.

 

A proposito di “pirati della penna”

 

Anonimo, “The Gorilla’s Vengeance”.

Publicazione in periodico: Frank Leslie’s Pleasant Hours, Vol. XXXII, New York, Frank Leslie’s Publishing House, 1882, pp. 301-303.

Riassunto.

Africa, foce del fiume Congo. Il capitano Benson, americano del Maine, deve caricare botti di olio di palma sul suo brigantino, e nel frattempo, insieme alla figlia Ruth, è ospite alla fattoria dell’olandese Vanderheim, trafficante d’avorio. Benson diffida di Gombo, il gorilla servitore di Vanderheim, anche se questi gli assicura che è innocuo. Invece Ruth non ne ha alcuna paura. Vestito come un servo, Gombo fa ombra con un parasole a Vanderheim e a Ruth mentre si recano alla fattoria. Il gorilla è molto brutto e ogni tanto uccide una mucca oppure devasta una piantagione di canna da zucchero. Gli indigeni credono che le scimmie siano uomini regrediti all’animalità per punizione divina. Vanderheim ha trovato Gombo  nella capanna di un capo congolese—alcuni anni prima, quando era ancora cucciolo, dopo che un cacciatore gli aveva assassinato la madre—e lo ha adottato, poi lo ha addomesticato, addestrandolo a lavorare come un servo umano. A cena Gombo serve a tavola. Ruth ne è incuriosita, mentre il padre ne diffida. A un tratto Gombo inciampa e rovescia la zuppa, in parte sulla gonna di Ruth, che d’impulso lo percuote con il ventaglio sugli occhi. Gombo accenna a reagire, è subito bastonato da Vanderheim, poi, quando tenta di difendersi, è aggredito dai servi del padrone, e allora rapisce Ruth e fugge. Armato e spalleggiato da alcuni suoi marinai, anch’essi armati, Benson dichiara di considerare Vanderheim responsabile dell’accaduto e promette di ucciderlo se sua figlia non sarà trovata e salvata entro l’alba. Si organizza una battuta per liberare Ruth. Per tutta la notte, alla luce delle fiaccole, i cacciatori braccano inutilmente il gorilla, che fugge nella foresta. All’alba, Benson ordina ai suoi marinai di legare Vanderheim a un baobab e si appresta a fucilarlo. All’improvviso appare Gombo. Il capitano e i marinai uccidono a fucilate il gorilla e salvano Ruth, la quale, sebbene traumatizzata, si riprende dopo qualche tempo. Adesso Ruth ha paura persino delle scimmie dei suonatori di organetto e Vanderheim dedica la propria vita allo sterminio di tutte le scimmie.

 

Emilio Salgari, “Il fanciullo rapito”, collana “I racconti di avventure di Emilio Salgari”, n. 25, Milano, Sonzogno, 1935.

Emilio Salgari, “Il fanciullo rapito”, collana “I racconti di avventure di Emilio Salgari”, n. 25, Milano, Sonzogno, 1935.

 

Emilio Salgari, “Il fanciullo rapito”.

Pubblicazione in periodico: Bibliotechina Aurea Illustrata, n. 136, Palermo, Biondo, 1902. Firmato Cap. Guido Altieri.

Ristampa in volume: I Racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata: Racconti ai Poli e all’Equatore, Milano, Fabbri, 2002, Volume 3, pp. 191-199.

Riassunto.

Sumatra. Preambolo sulle scimmie dell’isola. A differenza di Révoil, il quale presenta realisticamente gli oranghi come molto intelligenti, sostanzialmente innocui, facili da catturare, e ne descrive il modo di vivere, Salgari li raffigura come mostri orrendi e feroci, bellicosi e pericolosi. La piantagione dell’olandese wan Oken è costantemente saccheggiata e devastata da un orango imprendibile. Una sera, nel rincasare insieme ad Alberto, suo figlio, wan Oken si imbatte nella scimmia e spara. Ferito, l’orango rapisce il ragazzino e fugge nella foresta. Durante le ricerche del fanciullo rapito, un servo malese trova il rifugio dell’orango. Nuovamente ferito a fucilate, l’animale fugge con il fanciullo saltando di ramo in ramo e di albero in albero. Braccato, è infine scovato e ucciso. Così Alberto è salvo e, sebbene traumatizzato, si riprende dopo qualche tempo. La pelle dell’orango diventa un tappeto.

 

A proposito di “pirati della penna”

 

Emilio Salgari, “L’orang-utan di Celebes”

Pubblicazione in periodico: Per Terra e per Mare, Anno I, n. 21, 1904, pp. 208-210. Firmato Capitano W. Churchill.

Riassunto.

Makassar, Celebes. Il capitano di un bastimento in cantiere per riparazioni si reca a visitare la piantagione di un vecchio amico, Patrizio Wan Per. Il marinaio ricorda da una precedente visita che Wan Per aveva acquistato da un cacciatore un orango, Peka, quindi lo aveva allevato e addestrato a lavorare come domestico. Peka serviva a tavola, però era un ladro e continuava a rubare anche se ogni volta era severamente punito. Il capitano lo aveva visto subìre una punizione senza ribellarsi, ne aveva notato lo sguardo vendicativo, e aveva avvertito il piantatore della sua pericolosità. Giunto alla piantagione, il capitano scopre che Amely, la figlia di Wan Per, è stata rapita da Peka, il quale, dopo essere stato incatenato e frustato, si è ribellato ed è fuggito nella foresta. Il piantatore si è lanciato all’inseguimento e il capitano si affretta a raggiungerlo. L’orango è avvistato sugli alberi con la fanciulla in braccio. Dapprima i cacciatori non sparano per non rischiare di colpire Amely. Poi il capitano apre il fuoco e ferisce a una gamba Peka, il quale, pur sanguinando, continua la fuga. Alla fine è raggiunto e trucidato. I cacciatori trovano Amely morta, strangolata nel frattempo.

 

A proposito di “pirati della penna”

 

Elementi comuni ai quattro racconti.

—“La Vengeance du Singe” e “The Gorilla’s Vengeance”.

Un piantatore/trafficante olandese di nome Vanderheim; la credenza indigena secondo cui le scimmie sono umani regrediti all’animalità per punizione divina; una scimmia di nome Gombo, molto brutta, allevata e addestrata a diventare un servitore, che regge il parasole al padrone durante le passeggiate, commette un errore mentre svolge mansioni servili, è punita a bastonate, rapisce una fanciulla, fugge nella foresta, è braccata e infine uccisa; una fanciulla rapita e salvata, che rimane traumatizzata e dopo qualche tempo si riprende.

—“Il fanciullo rapito” e “La Vengeance du Singe”.

Preambolo sulle scimmie; un piantatore olandese; una scimmia che è punita a bastonate, rapisce un fanciullo/una fanciulla, fugge nella foresta, è ferita, braccata e uccisa, e infine scuoiata; un fanciullo rapito e salvato/una fanciulla rapita e salvata, che rimane traumatizzato/traumatizzata e dopo qualche tempo si riprende.

—“Il fanciullo rapito” e “The Gorilla’s Vengeance”.

Un piantatore/trafficante olandese; un fanciullo rapito/una ragazza rapita; una grande scimmia che è ferita, rapisce il fanciullo/la ragazza e fugge nella foresta, è inseguita e infine uccisa; un fanciullo rapito e salvato,/una ragazza rapita e salvata, che rimane traumatizzato/traumarizzata e dopo qualche tempo si riprende.

—“L’orang-utan di Celebes” e “The Vengeance du Singe”.

Un piantatore olandese; una scimmia allevata e addestrata a diventare servitore, che è punita a bastonate, rapisce una fanciulla e fugge nella foresta, tenendola in braccio; i cacciatori la inseguono, ma non osano spararle per non rischiare di ferire la fanciulla; la scimmia braccata alla fine è uccisa.

—“L’orang-utan di Celebes” e “The Gorilla’s Vengeance”.

Il capitano di un bastimento, che considera pericolosa una scimmia ammaestrata; un piantatore/trafficante olandese; una scimmia allevata e addestrata a diventare servitore, che è punita con la violenza, rapisce una fanciulla, fugge nella foresta, è inseguita e infine trucidata.

—“La vengeance du singe”, “The Gorilla’s Vengeance” e “L’orang-utan di Celebes”.

Un piantatore/trafficante olandese; una scimmia allevata e addestrata a diventare servitore, che commette un errore mentre svolge mansioni servili, è punita a bastonate, rapisce una fanciulla, fugge nella foresta, è braccata e infine uccisa; una fanciulla rapita e salvata, che rimane traumatizzata e dopo qualche tempo si riprende.

—“La vengeance du singe”, “The Gorilla’s Vengeance”, “Il fanciullo rapito” e “L’orang-utan di Celebes”.

Un piantatore/trafficante olandese; una scimmia che si comporta in un modo fastidioso per gli umani, è picchiata o ferita, rapisce un fanciullo/una fanciulla, fugge nella foresta, è braccata e infine uccisa.

 

A proposito di “pirati della penna”

 

Louis Garneray, Voyages, Aventures et Combats.

Pubblicazione a fascicoli: Voyages de Louis Garneray, peintre de marines: Aventures et Combats, illustrés par l’auteur, Panthéon Populaire illustré, Paris, Gustave Barba, 1851.

Pubblicazione in volume: Voyages, Aventures et Combats,Souvenirs de ma Vie Maritime, III voll., Bruxelles, Librairie de Ch. Muquardt, 1851.

Edizione riveduta per la gioventù: Voyages, Aventures et Combats, a cura di Victor Tissot, illustrato da Alfred Paris, Paris, Morot Frères et Chuit, 1887.

Le memorie di Garneray precorsero la narrativa di avventura marinaresca. Dopo la morte dell’autore, a partire dagli anni sessanta del XIX secolo, furono pubblicate in edizioni parzialmente riscritte, farcite di episodi fantasiosi e apocrifi, e divennero celebri. Forse uno degli autori incaricati di rimaneggiarle fu Édouard Corbière, allievo ufficiale nella marina militare, capitano di lungo corso nella marina mercantile, giornalista, celebre romanziere, autore di Le Négrier (1832), famosissimo in Francia, e padre del poeta Tristan Corbière, il quale dedicò «A l’auteur du Négrier» la sua unica opera, Les Amours Jaunes (Paris, Glady frères, 1873), e fu incluso da Paul Verlaine, insieme a Stephane Mallarmé e Arthur Rimbaud, nella celeberrima antologia Les poètes maudits (Paris, Léon Vanier, 1884).

 

Illustrazione di Louis Garneray per “Voyages de Louis Garneray, peintre de marines: Aventures et Combats”, in “Panthéon Populaire illustré”, Paris, Gustave Barba, 1851, p. 72.

Illustrazione di Louis Garneray per “Voyages de Louis Garneray, peintre de marines: Aventures et Combats”, in “Panthéon Populaire illustré”, Paris, Gustave Barba, 1851, p. 72.

 

Commento.

In breve, se vi è qualcuno che copia, non è Quattrini a copiare Salgari, bensì è Salgari a copiare l’anonimo autore americano, nonché, ancora una volta, Révoil. Tuttavia non è così semplice.

Ciascun autore rielabora gli elementi comuni di cui sono composti i quattro racconti, i quali, dunque, non sembrano tanto derivare l’uno dall’altro, quanto rimaneggiare un racconto precedente, non ancora individuato. Il più curato, articolato e sviluppato è forse quello dell’anonimo autore americano. Comunque sono tutti sciatti e puramente sensazionalistici.  Le situazioni e le azioni sono prive di plausibilità. L’avventura è vacua e superficiale. Gli ambienti sono appena abbozzati. I protagonisti, di cui nulla sappiamo e di cui nulla ci può importare, non hanno vita: eseguono macchinalmente le loro funzioni. Gli unici veri personaggi sono le scimmie, che hanno una storia, hanno tutte le ragioni per ribellarsi a una vita di sfruttamento e di sofferenze, eppure sono condannate a morire senza alcuna speranza di salvezza. Per giustificare tale condanna tutti i narratori, a eccezione di Révoil, le dipingono malvagie.

Purtroppo Salgari qui non è al suo meglio. I suoi due racconti si distinguono per i lunghi dialoghi, che se altrove, nei casi migliori, riescono a proiettare i lettori nel vivo della vicenda narrata, qui servono soltanto ad allungare un brodo già lento e insipido. Le descrizioni della foresta si riducono a meri elenchi di nomi—«sul margine d’una immensa foresta formata da banani selvatici, da mangostani, da palme immense e da alberi della gomma» (“Il fanciullo rapito”, in I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata, III, p. 194); «Banani immensi, palme, alberi della gomma, saccarifere e pombo si succedevano senza tregua, allacciati da rotangi e da nepentes che formavano delle vere reti» (“L’orang-utan di Celebes”, in Per Terra e per Mare, Anno I, n. 21, 1904, p. 209)—e nello scialbo contesto di questi racconti perdono il loro consueto potere evocativo per ridursi a stereotipo. Per privarle di qualunque possibile attenuante, Salgari non conferisce alle scimmie alcuna caratteristica positiva, anzi, attribuisce loro tutta la brutalità e la cattiveria possibili, sconfinando nell’inverosimile—«denti acutissimi e così solidi da schiacciare perfino le canne dei fucili» (“Il fanciullo rapito”, op. cit., p. 191); «le sue unghie lunghe come quelle dei leoni» (“L’orang-utan di Celebes”, op, cit., p. 208)— così che le sue descrizioni non risultano affatto didascaliche. Paradossalmente, le enumerazioni e le iperboli salgariane possono riacquistare la loro tipica sonorità suggestiva proprio attraverso la citazione che le estrapola dal racconto.

D’altronde ciò che importa di questi racconti non è la qualità letteraria. Se si individuano anche soltanto parzialmente i rapporti che li collegano, essi assumono significato in quanto esempi del funzionamento della catena di montaggio della produzione industriale di un tipo di narrativa avventurosa che costantemente ricicla e ripropone gli stessi temi, figure, situazioni, ambienti, mirando a sbalordire, orripilare e sconcertare i lettori. A questo tipo di narrativa avventurosa, che era sotto molti aspetti una produzione collettiva in cui l’originalità aveva scarsa o nessuna importanza, contribuirono Garneray e Corbière, Révoil e l’anonimo narratore americano, Salgari e Quattrini, come pure gli altri autori pubblicati nei periodici diretti da questi ultimi, consapevoli delle tecniche e delle forme con cui e in cui la materia medesima esigeva di essere lavorata: da questo punto di vista erano tutti pirati della penna che si derubavano a vicenda, attingendo a un vasto e consolidato repertorio che era la loro caverna dei tesori.

Alessandro Zabini

 

 

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