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Publié par Alessandro Zabini

 

 

 

 

 

«In una tiepida giornata di febbraio del 1861, una gran barca a cinquanta remi carica di soldati cocincinesi, navigava verso l’alto corso del Dong-Giang, magnifico fiume della bassa Cocincina che scaricasi nel Tan-binch-giang o fiume di Saigon. Era una di quelle galee che gli indigeni chiamano balon, lunga oltre quaranta metri, scavata nel tronco di un gigantesco albero del tek, pesante, bassa al centro e stranamente rialzata a prua e a poppa, sulle cui estremità sventolavano le gialle bandiere nazionali e agitavansi enormi ciuffi di penne e grandi foglie d’arecche. Nel centro ergevasi una chirola, cupola di forma graziosa quanto bizzarra, sostenuta da belle colonnine ornate a festoni di seta, sormontata da comignoletti e da grandi ombrelli scintillanti d’oro e dappertutto lungo i bordi, spiccavano intarsi bellissimi, rappresentanti gli dei della religione cocincinese, pitture, fregi di madreperla e di scagliette di tartaruga con effetto incantevole.»

(Emilio Salgari, «Tay-See», 1883)

 

 

 

 

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Se il senso della poesia e del narrare, della parola carica e densa di significato inesauribile, è anche quello di rivelare i paesaggi di infiniti Altrove, allora forse i libri il cui ricordo rimane più fulgido, fertile e commovente sono quelli che per primi durante la fanciullezza hanno dischiuso le Porte sull’Altrove, e nei casi più fortunati o audaci hanno permesso di varcarne le Soglie. Sono i libri da cui non ci si dovrebbe mai separare per non essere alterati da un rimpianto analogo a quello di Charles Foster Kane per Rosebud.

Fra questi libri sono sempre stati e mi sono ancora sempre accanto quelli di Emilio Salgari. Nella memoria è sempre rimasto come un richiamo il ricordo dell’edizione annotata in cofanetto apparsa tanto tempo fa nella collana Varia Grandi Opere, anche se allora mi fu possibile soltanto contemplarla, accarezzarla, fiutarla, ascoltarla, assimilarla per un tempo troppo breve. Soltanto dopo molti anni ho potuto ritrovarla e tenerla accanto, per essere sempre risfogliata con la stessa passione. Ora la ristampa in corso proprio di quelle edizioni annotate, molto simile, eppure non identica, finalmente con le illustrazioni della prima edizione, in tinta, a piena pagina, mi ha invitato ancora una volta a sfogliare quei volumi, e gli altri, Vallardi, Edizioni del Gabbiano, e tutte le opere nella ristampa Fabbri di ormai parecchi anni fa, con la scoperta dei romanzi ancora non letti. Così, esplorando La Rosa del Dong Giang, è sgorgato il desiderio di copiare i paragrafi iniziali delle opere di Emilio Salgari, seguendo l’ordine bibliografico stabilito da Ann Lawson Lucas, in cui la prima opera è proprio «Tay-See», e di proporli come piccole porte, invitando a varcarne le soglie.

 

 

 

 

 

 

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