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Publié par Alessandro Zabini




Quando fu tornato alla piroga, Simon raccontò con entusiasmo quello che aveva scoperto e condusse i compagni al luogo che aveva scelto come campo base. In una radura di erbe, segale e trifoglio furono costruiti le capanne, e i palchi dove sarebbero state custodite le pelli. A ciascun cacciatore fu assegnato un compito: alcuni ebbero l’incarico di cacciare, altri quello di scuoiare, conciare, cucinare.

Infine i backwoodsman si divisero a coppie e abbandonarono il campo base per recarsi in zone diverse a cacciare cervi per parecchi giorni, giacché quella era la stagione migliore: gli animali erano grassi, ed ottime erano le loro pelli, che in media pesavano un chilo e cento grammi ciascuna e valevano circa un dollaro. Al termine di questa prima battuta tornarono al campo con le pelli, quindi ripartirono per altre partite e stabilirono altri bivacchi. E così cacciando, oppure semplicemente vagabondando, o restando negli accampamenti a conciare e imballare pelli, i cacciatori trascorsero alcune settimane, durante le quali la loro dieta fu principalmente costituita di bisonte, cervo ed orso, bacche e frutta, nonché pane e focacce ricavati dalle provviste di farina di mais che avevano portato da Kaskaskia.

Poiché la wilderness lo imponeva, i backwoodsman erano cauti, intrepidi e pazienti, astuti e resistenti, adattabili e intraprendenti, nonché sani e vigorosi. Là infatti perivano coloro che non sopportavano estreme privazioni e fatiche. Bellicosi e versatili, abituati a superare ogni avversità bastando a loro stessi, erano indipendenti e individualisti. Sebbene solidali fra loro, amavano all’estremo la libertà, non tolleravano alcuna autorità, e spesso non comprendevano od ammettevano i diritti altrui. Credevano nella forza, abilità, audacia, naturalezza, semplicità, solidarietà. E agivano come a loro sembrava giusto, senza lasciarsi troppo affliggere dai dubbi.

Desideravano un po’ di buona terra in cui vivere a loro agio con le famiglie, padroni di seguire le loro inclinazioni. Però non si accontentavano di una sicura sopravvivenza, né cercavano ricchezze materiali o spirituali; quindi non riuscivano a restare rintanati nelle fattorie oppure nei villaggi ad oriente dei monti Allegheny. Non mancava loro l’intendimento di far fortuna o cominciare daccapo l’esistenza, ma soprattutto amavano cercare avventura e visitare luoghi sconosciuti, viaggiare e cacciare nelle foreste: amavano tanto tutto ciò, che vincevano il timore della solitudine, della sofferenza, della morte, e degl’Indiani.

Quasi tutte queste caratteristiche dei backwoodsman Simon Girty possedeva. Si distingueva perché a differenza di molti borderer non odiava gl’Indiani, e per la contradditorietà che gli derivava da un carattere burrascoso e impulsivo. Era affabile e allegro, dotato di umorismo spesso mordace. Amava gloriarsi delle sue passate avventure, ma questa sua ostentazione, non priva d’autoironia, si fondeva con la sua capacità di raccontare storie torve e drammatiche, beffardamente esagerate o affatto veritiere. Quando discuteva questioni gravi, la sua eloquenza era tale da suscitare l’ammirazione indiana. In lui erano degni d’altronde di un condottiero indiano la conoscenza della wilderness e della guerriglia; un coraggio ch’era temperato da una cautela sempre all’erta, eppure sfiorava talvolta la temerità; e una ferocia, una spietatezza coi nemici, che uguagliavano la sua generosità e lealtà cogli amici. Comunque non era capo della sua compagnia di cacciatori soltanto perché quasi come un Indiano sapeva sopravvivere e cacciare nelle foreste, e come pochi sapeva sparare: bensì perché era disinteressato, onesto, e leale in ogni circostanza.

Era nato nel 1741 all’estrema frontiera della Pennsylvania. Da bambino era cresciuto nelle foreste, tra gl’Indiani, e i trafficanti come suo padre, ch’era stato assassinato. All’epoca della Guerra Franco-indiana, Delaware e Shawnee avevano torturato e messo al rogo John Turner, suo padre adottivo. Lui, sua madre e i suoi fratelli erano stati catturati e adottati. Per alcuni anni erano vissuti tra gl’Indiani: Simon fra i Seneca; suo fratello James fra gli Shawnee; sua madre Mary, il suo fratellastro John e suo fratello George, fra i Delaware. Al termine della guerra, la famiglia Girty era stata riconsegnata agl’Inglesi di Fort Pitt. E là tra le foreste, dove il grande fiume Ohio scaturiva dalla confluenza dei fiumi Allegheny e Monongahela, Simon si era stabilito, come pure i suoi fratelli. Poiché conosceva parecchie lingue indiane, aveva sempre lavorato come interprete. E sin da ragazzo aveva frequentemente accompagnato i trafficanti nei loro viaggi nella wilderness e nei loro soggiorni ai villaggi indiani dell’Ohio, dove lui stesso aveva molti amici.

Sapevano, Simon e i suoi compagni, che sarebbero bastati un incidente, i lupi o gli Indiani, per perdere i proventi della caccia, oppure la vita. Eppure avevano trovato una terra d’inesauribile abbondanza ove tutti i desideri potevano essere appagati e nessuna restrizione esisteva alla libertà personale. Cacciando per accumulare pelli preziose, non si limitavano a provvedere per loro stessi o le loro famiglie: agivano anche per puro desiderio di ottenere molto con poco, per impulso cieco di annientamento, ebbri di libertà e profusione.








(From Alec Zayford, La pista rossa, Bologna, 1990, pp. 9-11)
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