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Publié par Alessandro Zabini




La mattina successiva il lungo viaggio riprese. I cacciatori per settanta miglia risalirono dalla foce l’Ohio, largo quasi un chilometro, sino al fiume Cumberland, che spesso era ancora chiamato Shawnee, dal nome del popolo indiano che un tempo ne aveva abitato la valle.

All’alba i backwoodsman si destavano alle tre note del canto del caprimulgo, deponevano legna sulla cinigia e riaccendevano il fuoco per la colazione. Montavano a bordo della piroga che trasportava le loro provvisioni e remavano poi nel silenzio del giorno, ove raramente un gracchiare di corvo o martellare di picchio su un faggio cavo si udiva, e presto si perdeva. Ciascuno indossava indumenti dalle scialbe tinte mimetiche, perché sgargianti colori avrebbero spaventato la selvaggina e attirato gl’Indiani.

Flosci cappellacci di feltro a fascia bassa e falda larga proteggevano i borderer dalla pioggia e dal sole. A doppio petto, ma senza bottoni e stretti da cinture affibbiate dietro, i camiciotti di mezzalana erano abbastanza ampi da contenere in grembo l’armamentario che non si teneva nella tracolla, perché di uso più frequente. Giberne, corni portapolvere e guaine coi coltelli erano appesi alle cinture, nelle quali erano infilati anche i tomahawk. Brache di pelle al ginocchio erano nascoste dai camiciotti; gambali di cervo a mezzacoscia erano legati sotto le ginocchia; e mocassini di wapiti erano bene allacciati sopra le caviglie, sia per impedire che polvere e sassolini vi entrassero, sia perché qualsiasi lembo penzolo era pericoloso nel bosco.

Quando crepitava, crosciava e stillava la pioggia tra le fronde, insinuandosi nell’immenso silenzio della foresta, e il vento sospirava, i borderman lasciavano le provviste sotto la piroga rovesciata a riva, si riparavano in una grotta, o a polvento di una rupe, o in un enorme sicomoro cavo, oppure in una capanna lungo un sentiero indiano, e accendevano fuocherelli scoppiettanti per asciugare armi, mocassini, indumenti.

Alcuni per cacciare si addentravano a piedi nei boschi. Dai rari varchi nei crinali ammiravano l’oceano di foreste verdeazzurre che sfumava nella bruma dell’orizzonte. E talvolta una loro fucilata echeggiava come il crollare d’un albero. La sera sostavano tutti assieme presso un ruscello, accendevano fuochi di rami secchi, e stufavano carne di cervo con sale, pepe di caienna, grasso d’orso e acqua per fare sugo. In alcuni spiedini aromatici infilavano lingue di bisonte già scottate e pelate, per porle quindi ad arrostire davanti a un letto di braci. Tra i familiari odori di cuoio e sudore, carne fresca e focacce di mais che cuocevano, fumo di legna e polvere pirica, nonché il diffuso aroma delle lingue di bisonte, i cacciatori cenando ascoltavano il chioccolare delle acque, e il canto di quiete del caprimulgo: un chiocciare, percepibile soltanto in vicinanza, seguito da una nota risonante, un’altra più fievole, la terza ancora sonora. Durante la notte si udivano ululati di lupo, miagolare di linci e gnauli di coguari, versi di civette. E le lingue di bisonte arrostivano sino all’alba, quand’erano pronte per colazione.




(From Alec Zayford, La pista rossa, Bologna, 1990, pp. 6-8)
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