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Publié par Tiziano Agnelli

 

Riallacciandomi ad una esternazione di un caro amico riguardante la gente che gli chiede conto della sua inveterata idiosincrasia per certi “Salgariani” che salgariani non sono, tengo a passar notizia di una frase che di recente ho letto su Avventura magazine, pubblicazione della Bonelli che nel numero del Giugno 2017 è dedicata ad un grande del fumetto italiano, vale a dire Gallieno Ferri, creatore grafico di Zagor.
L’autore del primo articolo titolato «Fergal il Francese» è Luca Boschi, che collabora con l’editore in questione oltre che essere autore di saggi sul fumetto, vincitore di svariati premi, insomma un personaggio molto conosciuto nell’ambiente.
Orbene, parlando appunto di Ferri dice che è stato «affascinato da personaggi come l’Uomo Mascherato e Cino e Franco, dalle trame delle storie, ma anche dagli scenari misteriosi in cui si muovono: vedute di una giungla africana dai tratti poco realistici ma credibili, che rendono esplicito, con le vignette di Ray Moore o di Lyman Young, ciò che i più popolari fra i romanzi di Emilio Salgàri riuscivano appena a suggerire».
Ho evidenziato quest’ultima frase perché mi ha fatto rizzare le antenne, nonché gelare il sangue. Premesso che non sono in grado di affermare che l’autore del pezzo sia o sia stato un salgariano, però uscendosene con un’affermazione così categorica devo dare per scontato che poco o tanto ne abbia letto.

***

La luna splendeva in un cielo sgombro di nubi, scintillando fra miriadi di stelle. La purezza dell’atmosfera era tale, da permettere al tedesco, che era anche un po’ astronomo, di distinguere, senza bisogno di cannocchiale, le stelle di settima grandezza.
Una brezza fereschissima, impregnata dell’acuto profumo dei sicomori in fiore e degli amarilli, spirava ad intervalli, temperando il calore torrido che tramandava ancora il suolo.
Un silenzio profondo regnava sulla pianura. Solo di quando in quando veniva bruscamente interrotto dall’ululato di qualche sciacallo o dallo scoppio di risa di qualche iena accorsa al profumo che esalava l’arrosto.
[…]
A mezzodì, mentre stavano per far colazione, la Germania superava alcune catene di colline pochissimo alte e assai boscose e scendeva nelle vaste pianure erbose che occupano gran parte dell’Usagara.
In mezzo a quelle opulente praterie, interrotte solo da pochi gruppi di banani e di sicomori, si vedevano apparire moltissimi animali.
Truppe di zebre fuggivano caracollando in mezzo alle erbe e bande di giraffe galoppavano disordinatamente. Non mancavano le antilopi e nemmeno i bufali, animali terribili questi, che non temono i cacciatori, molto più vigorosi dei nostri tori e con la testa armata di corna tremende.

Dappertutto si slanciavano in alto tronchi d’ogni dimensione e d’ogni tinta, che confondevano poi i loro rami e le loro foglie smisurate a cinquanta, a sessanta e perfino a cento piedi dal suolo.
Miriadi di liane, formanti splendidi festoni e di piante arrampicanti adorne di grappoli di fiori esalanti penetranti profumi, li avvolgevano, salendo fino alle più alte cime, per poi ridiscendere e quindi risalire di nuovo.
Di sotto a quelle piante colossali, altre ne erano spuntate occupando tutti i più piccoli tratti di terreno, confondendo i loro rami od i loro tronchi. Meno vivificate dall’aria e dal sole, si erano mantenute tuttavia ad altezze più modeste, formando una selva inferiore, la quale intercettava completamente i poch raggi che potevano penetrare attraverso la prima volta di verzura.
[…]
Un silenzio assoluto regnava sotto la grande e tenebrosa foresta, i cui alberi pareva che formassero una massa impenetrabile. Solamente di quando in quando un soffio d’aria che spirava dalla costa, faceva stormire lievemente le grandi foglie piumate dei palmizi, dei cocchi e dei datteri spinosi, producendo un sussurrìo strano che si perdeva rapidamente in lontananza.
Quel silenzio non doveva però durare molto. Dietro le alte cime della foresta cominciava a diffondersi nel cielo una luce pallida, annunciante l’imminente comparsa dell’astro notturno e le fiere non dovevano tardare a lasciare i loro covi per cominciare le loro sanguinose stragi.

***

Ripasso nella memoria le mie sensazioni di ragazzino quando affrontai per la prima volta i romanzi di Emilio e le sensazioni che mi evocarono allora ancora mi tornano vivide nella mente. Allora riprendo in mano un titolo che, fra i tanti, mi aveva particolarmente impressionato, forse perché letto in una di quelle giornate grevi di umidità che preludono allo scoppio di un violento temporale che però non arriva mai e mi chiedo: non è evocativo di un certo ambiente I Misteri della Jungla Nera?
Frasi come:


immense piantagioni di bambù spinosi, stretti gli uni contro gli altri, le cui alte cime ondeggiano ai soffi del vento, appestato dalle esalazioni insopportabili di migliaia e migliaia di corpi umani, che imputridiscono nelle avvelenate acque dei canali.


Oppure:


È raro se scorgete un banian torreggiare al disopra di quelle gigantesche canne; ancor più raro se v’accade di scorgere un gruppo di manghieri, di giacchieri o di nagassi sorgere fra i pantani, o se vi giunge all’olfatto il soave profumo del gelsomino, dello sciambaga o del mussenda, che spuntano timidamente fra quel caos di vegetali.


O ancora:


Infatti è là, fra quegli ammassi di spine e di bambù, fra quei pantani e quelle acque gialle, che si celano tigri spiando il passaggio dei canotti e persino dei navigli, per scagliarsi sul ponte e strappare il barcaiuolo od il marinaio che ardisce mostrarsi; è là che nuotano e spiano la preda orridi e giganteschi coccodrilli, sempre avidi di carne umana; è là che vaga il formidabile rinoceronte a cui tutto fa ombra e lo irrita alla pazzia; ed è là che vivono e muoiono le numerose varietà dei serpenti indiani, fra i quali il rubdira mandali il cui morso fa sudar sangue ed il pitone che stritola fra le sue spire un bue; ed è là infine che talvolta si cela il thug indiano, aspettando ansiosamente l’arrivo d’un uomo qualsiasi per strangolarlo ed offrire la spenta vita alla sua terribile divinità!


Dunque frasi come queste non sono evocative di un ambiente immerso in vapori miasmatici, greve di pericoli che possono celarsi per ogni dove, con il «cupo suono del ramsinga» che preannuncia sempre la morte di qualcuno e che rende l’inoltrarsi nella Jungla una mission impossible ante litteram.
A parte il gelsomino, che cresceva giù nel parco della casa dove abitavo, abbarbicato su una parete della casa, io mica lo sapevo cosa fossero il mussenda dalle foglie rossastre o lo sciambaga, però ancora adesso quei nomi così esotici e quelle descrizioni così graficamente palpitanti e grevi di presagi nefasti mi prendono dentro, e mi par quasi di vederli stormire sotto l’impeto del vento.
Per non parlare di come Emilio descrive il travaglio interiore del cacciatore di serpenti, che va incupendosi di pari passo con il procedere dell’azione, che perdutamente innamorato di una visione quasi ultraterrena vuole a tutti i costi ritrovare la celestiale fanciulla che per giorni gli è comparsa misteriosamente alla vista.
Non contento prendo in mano un altro caposaldo delle bibliografia salgariana, vale a dire Le Tigri di Mompracem.


Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali di quando in quando lasciavano cadere sulle cupe foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e secchi ed ora interminabili delle folgori.


Pur non essendo mai stato nei mari tropicali, mi par di vederla con gli occhi della mente la tempesta che s’infrange su Mompracem:


Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapieni cadenti, di stecconati divelti, di gabbioni sventrati presso i quali scorgevansi ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida capanna si innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera rossa con nel mezzo una testa di tigre.


Tempesta che va di pari passo con il tumulto che divampa nel cuore dell’uomo che esce e sta a braccia incrociate,

 

fermo come la rupe che lo reggeva, aspirando con voluttà i tremendi soffi della tempesta e spingendo lo sguardo sullo sconvolto mare, poi si ritirò lentamente, rientrò nella capanna e si arrestò dinanzi all’armonium.


E le prime sue parole pronunciate:

 

— Quale contrasto!— esclamò. — Al di fuori l’uragano e qua io! Quale il più tremendo?—


E io aggiungo: quale miglior modo per introdurre presso il lettore quell’uomo formidabile, che non teme né la natura né l’uomo e che risponde al nome di Sandokan?
Salgàri è stato uno scrittore che ci sapeva fare con le parole, che sapeva quali intime corde toccare per evocare sentimenti mai prima provati dalla gioventù italiana, e anche dopo cento e passa anni le sue descrizioni hanno ancora la potenza di risvegliare in me echi giovanili mai del tutto sopiti.
Io mi ci sono arrotato i denti con le opere del grande Emilio e scopro con piacere che ancora oggi riescono a farmi fremere più di quanto ci riescano la maggior parte degli autori moderni.
Permettetemi di chiudere con un invito al Signor Boschi di andarsi a rileggere per bene l’una o l’altra di queste indimenticabili opere per poi decidere se rivedere o confermare la propria affermazione.
Siamo in periodo di ferie  e quindi di smobilitazione generale anche dei Salgariani, nondimeno spero che questo mio contributo susciti un minimo di discussione tra noi tigrotti.
Buone vacanze a tutti!


Tiziano Agnelli

 

 

Nota. Le citazioni da I Misteri della Jungla nera e Le Tigri di Mompracem sono tratte da Emilio Salgari, Edizione Annotata, Il primo ciclo della Jungla, a cura di Mario Spagnol, prefazione di Pietro Citati, 15 tavole a colori e 320 illustrazioni in nero, volume primo, Le Tigri di Mompracem, I Misteri della Jungla nera, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Varia Grandi Opere, ottobre 1969, pp, 5, 7, 213, 216. Le altre citazioni provengono da Emilio Salgari, La Montagna d’Oro, Milano, Fabbri, 2002, pp. 52, 67, e da Emilio Salgari, La Costa d’Avorio, Milano, Fabbri, 2002, pp. 51, 55.

 

 

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